La Locanda

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-Andri-
view post Posted on 29/3/2011, 12:51




Barlow imprecò quando un piede gli finì in una buca di fango limaccioso e l'acqua ghiacciata gli scivolò nella scarpa. Sforzava il suo sguardo nel buio, ma non riusciva a distinguere nulla più della forte oscurità degli alberi che si chiudevano su di lui. La pioggia cadeva a dirotto, producendo una nenia monotona sulle foglie. Il tempo era abbastanza brutto anche se non ci si fosse persi. Afferrando con forza la valigia, si affrettò attraverso l'oscurità e il sudiciume del solitario viale di campagna.
Non si era aspettato nulla di simile quando si era diretto verso la zona di competenza del povero Gough: aveva pensato troppo alle lucrose commissioni che sarebbero state sue. E poi, coloro che viaggiano in strani posti, devono prevedere quel tipo di cose. Era curioso di sapere cosa fosse successo a Gough. La gente non era stata mai soddisfatta di quel che si diceva riguardo la sua morte: c'era qualcosa di strano in tutto l'affare! Comunque, non era sposato, e non lasciava moglie e figli. Grazie a Dio! Ma ecco una luce!
Mettendo da parte quelle elucubrazioni, Barlow guardò attentamente in avanti verso la pallida luce gialla che si mostrava attraverso le tenebre. Era la finestra di qualche edificio, e così fece rotta verso quello. Quando fu abbastanza vicino da scorgere la sua massa che incombeva, suppose di trovarsi davanti a una locanda, e il pensiero lo rallegrò enormemente. In ogni caso ci sarebbero stati tepore e un rifugio.
Lo stridere rugginoso dell'insegna, nascosta nell'oscurità, confermò la sua supposizione, e presto sentì il sentiero di ciottoli sotto i suoi piedi. Tentò di scorgere cosa fosse scritto sull'insegna, ma trovò l'oscurità impenetrabile; perciò inchinò la tavola che oscillava verso la fioca luminescenza del cielo stellato. Si poteva appena scorgere la figura abbozzata di un uccello. Un nome si trascinò avanti dai recessi della sua memoria: La cornacchia cieca. Un ricordo portava con sé un avvenimento sinistro; quella era la locanda nella quale era morto Gough!
Allarmato, Barlow rimase un momento perso in una strana sensazione; poi, quando il freddo disagio della pioggia si fece avanti di nuovo, alzò le spalle e si affrettò nella hall. Dopo aver posato la borsa si levò dalla testa il cappello e si scosse di dosso la pioggia, poi si guardò intorno per cercare un campanello o un battente che avrebbe portato qualcuno ad aprire quella pesante porta.
Stava per afferrare un pesante battente di ferro, quando la porta si spalancò silenziosamente. Il silenzio risuonò sui suoi nervi già tesi: era il tipo di porta dalla quale ci si aspettano scricchiolii e proteste. Sbattè le palpebre nella luminosità pallida che usciva lentamente, cercando di distinguere l'uomo che era lì davanti.
Alto, magro e calvo, l'uomo lo guardava senza interesse. Non c'era nessun albergatore rubicondo e cordiale; più che un locandiere, sembrava a Barlow un guardiano di cimiteri. Il viaggiatore era consapevole che la sua voce era stranamente sottomessa quando disse: "Buona sera! Vorrei una stanza per la notte!". L'altro non rispose; rimase da un lato ed aprì ulteriormente la porta. Barlow passò nell'ampio varco, aspettando che il taciturno locandiere chiudesse la porta, poi lo seguì nell'ampia stanza lastricata di pietra. Fu accolto da una calda atmosfera. il fuoco di un ceppo sibilava e crepitava nel camino, riempiendo la stanza di una luce rossa gioiosa e di ombre danzanti, e una grossa tabella portava le indicazioni di pietanze appetitose. Il suo umore si sollevò e, dopo aver lanciato i suoi panni bagnati su una sedia, si stropicciò le mani con vigore.
"Le sarei grato se mi portasse qualcosa da mangiare. Della carne fredda con sottaceti, se ne avete, e, naturalmente, della birra." L'albergatore accennò di sì ed emise un brontolio, poi si accinse a preparare il cibo. Quando tutto fu sul tavolo, lanciò su di esso una chiave pesante, attaccata a una targhetta di legno. Quando parlò, la sua voce fu secca e frusciante: "Ecco la chiave della vostra camera. E' la seconda porta sul pianerottolo. Buona notte!". E senza ulteriori conversazioni, lo strano albergatore si trascinò verso remoti luoghi dietro la cucina.
Barlow lo seguì con lo sguardo. Aveva intenzione di indurlo a parlare di Gough, ma per qualche motivo aveva paura di intromettersi nel cupo riserbo di quell'uomo. Toccò la grossa chiave, e poi tornò alle gustose vivande che aveva davanti.
Mangiò con tutta calma. La carne fredda era buona e la birra era la migliore che avesse incontrato fino a quel momento. Mentalmente, encomiò la previdenza dell'albergatore nel servire un'abbondante riserva di birra. Sotto l'influsso piacevole di uno stomaco soddisfatto e di un tepore confortevole, un dolce appagamento si impossessò di lui.
Con tranquillità caricò la pipa, e gettò uno sguardo alla grande stanza. Il ceppo crepitava, ancora rosso e, dopo aver riempito nuovamente il bicchiere, Barlow abbassò la lampada e camminò oltre la grossa panca tendendo le gambe verso la fiamma. Accese la pipa, e con quel buon tirare, si rilassò con godimento. Ah! Era bello!
Con gli occhi semichiusi che fissavano il centro del fuoco, si lasciò cadere in meditazioni sognanti. Quando si sarebbe ritirato avrebbe voluto un posto come quello. Niente da fare. Poi la sua mente tornò a Gough. Povero vecchio Gough! Proprio una brava persona a modo suo. Strano che fosse capitato nello stesso posto in cui lui era morto; eppure in qualche modo non era così strano... ma viaggiava nella stessa zona? Eppure... chissà cosa era realmente successo! Non aveva letto il resoconto; sapeva soltanto che qualche mistero circondava il caso. A mezza voce, mormorò: "Povero vecchio Gough!", e si preparò a scacciare l'argomento dalla mente. "Sì, era sfortunato!", rispose una voce profonda. Barlow saltò su a sedere come un fuso, e guardò in giro per la stanza. Poi, proprio quando cominciava a pensare che la voce fosse un'invenzione della propria immaginazione, scorse una figura curva tra le ombre al lato opposto del fuoco.
A poco a poco la sua paura diminuì. Scrutò l'altro, cercando di vedere più del profilo indistinto che si fondeva con le ombre circostanti, cambiando forma con ogni ghiribizzo delle fiamme tremolanti. Il suo senso di cameratismo si fece avanti. "Buona sera!", disse. "Pensavo di essere solo. Non l'avevo vista lì." Fece una pausa, poi, quando l'altro non rispose, continuò: "Che tempo da cani! Anche lei è in giro?".
"No!"
"Ah, vive qui, allora?"
"No, non vivo qui." La voce profonda sembrava venire dalle profondità della più profonda ombra. "Ma capito qui di frequente."
Barlow tirò una boccata dalla pipa, e andò alla ricerca di qualche suggerimento per nuovi argomenti di conversazione. Poi ricordò l'entrata dello straniero nella sua coscienza.
"Non ha fatto dei commenti su Gough, l'uomo che è morto qui?"
"Ho detto solo che era sfortunato."
"Sì, è stata una triste storia. Lavorava per la mia stessa ditta. Lo conoscevo bene. Non era un cattivo ragazzo. La cosa strana è che nessuno sembra sapere esattamente cosa sia successo. Mi sembra che sia stato trovato morto in un letto qui, con un'espressione di grande paura sul volto! I medici dissero un colpo al cuore, ma se avesse conosciuto Gough... Per qualche ragione... Un uomo sano come un cavallo!"
"I sintomi definitivi indicavano una morte per paura... per terrore eccessivo."
"Paura? Ma, signore, Gough non aveva paura di niente al mondo. Ce ne sarebbe voluto anche solo per impaurirlo, figuriamoci per atterrirlo a morte."
"Impaurito da niente al mondo? Forse, ma è morto di terrore."
Il viaggiatore meditò su ciò. Fuori, il vento gemeva e spingeva la pioggia rumorosa sui vetri delle finestre. Si fece coraggio, e si lasciò uscire di bocca la domanda che gli era nata sulle labbra fin da quando la conversazione era iniziata.
"Sembra che lei sappia molto di questa storia. Forse me ne potrebbe parlare?"
"Io so tutto."
In seguito a quella confessione repentina, l'altro cadde in un silenzio che durò tanto che Barlow ebbe paura di averlo in qualche modo offeso. Proprio quando stava per fare uno sforzo per chiedere ammenda per una offesa che poteva aver causato, l'altro iniziò a parlare.
"Gough arrivò qui proprio nelle sue stesse circostanze: aveva perso l'ultimo treno, e stava piovendo a dirotto. Gli fu data la seconda camera sul pianerottolo e, dopo una buona cena, si ritirò. Si mise a leggere per un'ora o poco più, ma il vecchio letto con baldacchino era così confortevole che spense la luce, si rannicchiò sotto le calde coperte, e cadde in un sonno profondo. Si svegliò proprio dopo la mezzanotte. Non sapeva che cosa lo avesse fatto svegliare, e lanciò uno sguardo assonnato in giro e tentò di riaddormentarsi. Dopo pochi minuti era sveglio di nuovo. Questa volta, tentò di capirne la causa. Non passò molto tempo prima che si rendesse conto che c'era qualcosa nella stanza: un'altra Presenza. Si mise a sedere nel letto e scrutò nell'ombra. Non riusciva a vedere nulla, e non sentiva nulla al di fuori del lugubre gocciolare della pioggia dalla grondaia. Improvvisamente, si irrigidì, e fissò intensamente l'angolo più scuro. Qualcosa si era mosso, immerso nell'ombra; simile a un vortice di spesso fumo più che a un reale movimento. Debole, ma distinto, un caratteristico odore di muffa arrivava alle sue narici. C'era una tensione funesta nell'aria che gli faceva formicolare i corti capelli sulla nuca, e un certo sudore gli imperlò la fronte. Paralizzato, osservava i vaghi movimenti prender corpo; li vide diventare un contorcersi orribile e sinistro. Presto, qualcosa crebbe in grandezza e minacciosità nelle profondità dell'ombra, qualcosa che iniziava a muoversi verso i piedi del letto. Ormai Gough teneva strette le lenzuola, incapace di fare altro che guardare con occhi atterriti. Le sue corde vocali erano agghiacciate, e i muscoli rifiutavano di obbedire alla sua mente ammaliata. Doveva sedere lì e aspettare, aspettare.
La cosa uscì dalle ombre: era solo una scura massa nebulosa. Raggiunse i piedi del letto, dove sembrò crescere ulteriormente, impennandosi, incombendo famelica sull'uomo atterrito. Allora, la fredda, bianca luce della luna, penetrò da uno squarcio nelle nubi temporalesche, si diffuse attraverso la finestra, proprio sulla cosa.
Gli occhi di Gough si spalancarono, si gonfiarono. Tentò di urlare, ma nessun suono uscì dalla sua gola secca. Stese le mani tremanti per tenere lontana quella cosa che veniva dalle ombre: ma fu un gesto vano. Poi, con un singhiozzo tormentato, cadde indietro sui cuscini, morto! Così lo ritrovarono il mattino seguente!"
Per alcuni minuti dopo che l'altro ebbe terminato di parlare, Barlow rimase seduto come in trance. La pipa era diventata fredda, e il fuoco era morto in rossi tizzoni, tra i quali una fiamma occasionale guizzava per la sua breve vita. Fuori, la pioggia scorreva a dirotto, colpendo i lati della casa.
Con un sospiro, Barlow tornò alla realtà, e si appoggiò indietro, asciugandosi la fronte. Il suo cuore stava ancora correndo per l'orrore di ciò che aveva ascoltato. Poi un pensiero cancellò il suo stordimento, un pensiero che fece scappare i suoi timori indietro nei loro nascondigli. Più ci pensava, più voleva ridere. Fece attenzione a parlare con disinvoltura: "Che cosa terribile! Che orribile morte!"
La figura nell'ombra non rispose. Barlow continuò, lasciando che un po' di trionfo si insinuasse nel suo tono: "La sua storia è stata molto vivida, amico mio, troppo vivida! Gough era solo... e solo lui avrebbe potuto sapere che cosa accadde!".
Si piegò in avanti, aspettando una risposta alla sua sfida. Da qualche parte un orologio batté le dodici. Dall'ombra la risposta arrivò.
"Sì! Solo Gough e la cosa che veniva dall'ombra!"
E la figura si mosse in avanti minacciosa nella luce morente del fuoco.

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Edited by ×Dado× - 30/3/2011, 12:31
 
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